Intelligenza e depressione

A quanto pare, le persone molto intelligenti non sono sempre quelle che prendono le migliori decisioni. In molti casi queste persone rimangono incastrate nel groviglio delle loro preoccupazioni, nell’abisso dell’angoscia esistenziale, in quello sconforto che consuma le riserve di ottimismo.

Vi è la tendenza generale a vedere i geni dell’arte, della matematica o della scienza come creature taciturne, persone in qualche modo particolari e molto attaccate alle loro stranezze; tutte menti geniali, creative ed eccezionali che portarono la loro angoscia fino all’orlo di quel precipizio che preannunciava la tragedia.

Esiste una relazione diretta tra un alto QI e la depressione? Come prima cosa è necessario evidenziare che un’intelligenza elevata non contribuisce allo sviluppo di nessun tipo di disturbo mentale.

Esistono, però, un rischio e una predisposizione alla preoccupazione eccessiva, all’autocritica, ad avere una percezione molto falsata del mondo tendente alla negatività. Tutti fattori che in molti casi creano le condizioni necessarie per dare origine ad un quadro depressivo. Chiaramente ci sono eccezioni. Nella nostra società abbiamo persone brillanti che sanno trarre il massimo dal loro potenziale, investendo non solo nella propria qualità di vita, ma anche nella loro stessa società.

 

 

La personalità delle persone più intelligenti

“The creative brain” è un libro molto utile per comprendere come funzionano la mente e il cervello delle persone più intelligenti e creative. In esso la neurologa Nancy Andreasen svolge una meticolosa analisi con la quale dimostra che vi è una tendenza piuttosto significativa dei geni della nostra società a sviluppare vari disturbi: in particolare disturbi bipolari, depressione, crisi d’ansia, attacchi di panico.

Lo stesso Aristotele, ai suoi tempi, sosteneva già che l’intelligenza cammina mano nella mano con la malinconia. Geni come Sir Isaac Newton, Arthur Schopenhauer o Charles Darwin vissero periodi di nevrosi e psicosi. Virginia Woolf, Ernest Hemingway e Vincent Van Gogh finirono per compiere l’estremo gesto di togliersi la vita.

 

 

Studi su persone molto intelligenti

Sigmund Freud, assieme a sua figlia Anna Freud, studiò lo sviluppo di un gruppo di bambini con QI superiore a 130. Questo studio rivelò che quasi il 60% dei bambini finì con lo sviluppare un maggiore disturbo depressivo.

Sono inoltre celebri gli studi di Lewis Terman, pioniere della psicologia educativa dell’inizio del ventesimo secolo. Negli anni ’60 iniziò un lungo studio su bambini con elevate capacità che avevano un QI maggiore di 170, i quali parteciparono ad uno degli esperimenti più famosi della storia della psicologia. Questi bambini vennero chiamati le “terminiti” e fu solo all’inizio degli anni ’90 che si iniziò a trarre importanti conclusioni.

 

 

L’intelligenza: un carico molto pesante

Le “terminiti”, i bambini di Lewis Terman che oggi sono adulti di età avanzata, confermarono che un’elevata intelligenza è collegata ad una minore soddisfazione vitale. Nonostante alcuni di essi abbiano ottenuto la fama e una posizione di rilievo nella società, buona parte tentò il suicidio in più di un’occasione oppure cadde in dipendenze quali l’alcolismo.

Un altro aspetto significativo emerso da questo gruppo di persone, che può essere visto anche in coloro che presentano elevate capacità intellettive, è il fatto di essere molto sensibili ai problemi del mondo. Non si preoccupano solo che ci siano disuguaglianze, la fame o la guerra. Le persone molto intelligenti si sentono contrariate dai comportamenti egoisti, irrazionali o privi di logica.

 

La zavorra emotiva e i punti ciechi nelle persone molto intelligenti

Gli esperti ci dicono che le persone molto intelligenti a volte soffrono di quello che potrebbe essere denominato disturbo dissociativo della personalità. Ciò significa che vedono le proprie vite dall’esterno, come un narratore che usa una voce in terza persona per vedere la propria realtà con una meticolosa oggettività, ma senza sentirsi pienamente partecipe di essa.

Questo loro approccio fa sì che abbiano spesso “punti ciechi”, un concetto strettamente correlato con l’Intelligenza Emotiva che Daniel Goleman sviluppò in un interessante libro con il medesimo titolo. Si tratta di auto-inganni, errori gravi nella nostra percezione quando dobbiamo scegliere su cosa concentrarci e cosa evitare per non prendercene la responsabilità.

Quindi ciò che fanno spesso le persone molto intelligenti è concentrarsi esclusivamente sulle mancanze di quello che li circonda, su questa umanità stonata, su questo mondo estraneo ed egoista per natura, nel quale gli è impossibile inserirsi. Spesso non hanno le adeguate abilità emotive per relativizzare, per inserirsi meglio, per trovare la calma in questa selva esteriore e in questa disparità che tanto li confonde.

Un’altra cosa che possiamo senza dubbio dedurre riguardo alle persone molto intelligenti è che spesso presentano forti carenze in ambito emotivo. Questo a sua volta ci porta ad un’altra conclusione: quando si effettuano i test psicometrici, al sempre sopravvalutato quoziente intellettivo andrebbe aggiunto un altro fattore.

Ci riferiamo alla “saggezza”, questa conoscenza vitale per sviluppare una soddisfazione quotidiana autentica, per plasmare un buon concetto di sé, una buona autostima e tutte quelle abilità adatte per investire nella convivenza e nella costruzione di una felicità reale, semplice, ma tangibile.

 

Tratto da: https://lamenteemeravigliosa.it/persone-molto-intelligenti/